Un museo a cielo aperto nel cuore del centro storico di Benevento, opera dell'artista sannita insieme agli architetti Roberto Serino e Pasquale Palmieri.

 

Benevento é una città che non si rivela facilmente agli occhi di chi la guarda, sempre tanti sono la nebbia e i misteri che l'avvolgono. Era, ed é in parte ancora, una città medievale, contraddistinta tra l'altro da una grande quantità di piccoli orti urbani e di giardini, monastici e padronali, di solito pensili, chiusi, segreti, segretissimi, imprevisti, talvolta invisibili.

Se provassimo a percorrere (e conoscere) la storia di Benevento seguendo il filo rosso dei suoi giardini, un osservatorio privilegiato potrebbe essere sicuramente quell'Hortus Conclusus che si apre in fondo a Vico Noce, pittoresco e sinuoso passaggio (dal nome fortemente evocativo) che si imbocca dal centralissimo Corso Garibaldi.

Mimmo Paladino, beneventano d'adozione e indiscusso maestro della Transavanguardia Internazionale, ha realizzato questo spazio all'inizio degli anni Novanta in uno di quei giardini altrimenti invisibili, l'antico orto dell'ex complesso conventuale di San Domenico, oggi destinato a sede universitaria. Un insieme di opere scultoree in uno spazio assolutamente unico nel suo genere, ricco di elementi cha fanno riferimento al mito, alla storia sannitica e longobarda di Benevento. Di rigore classico, l'Hortus Conclusus é un luogo emblematico della memoria collettiva ed é pervaso da un forte simbolismo.

 

Appena entrati, l'attenzione ? immediatamente catturata dal grande cavallo in bronzo irto sul muro di cinta, che rimanda a mitologie omeriche e guerriere, come una sorta di cavallo di Troia dalla maschera d'oro come quella funebre di Agamennone. Il cavallo sembra sorvegliare e proteggere ci? che l'alto muro delimita.

La tessitura dei muri di cinta e quella della pavimentazione, con l'inserimento apparentemente casuale di manufatti di pietre e bronzi, fa riferimento ai modi di costruire in uso nella Benevento longobarda, e ancora oggi visibili, elementi di spoglio, romani per lo più, inglobati nel corpus delle mura della città e degli edifici al loro interno, simbolo di continuità culturale. Accanto alla tradizione culturale longobarda nell'Hortus, e in tutta la produzione di Paladino, é presente quella gloriosa del popolo sannita.
E' questo il riferimento più immediato agli elmi, ossessivamente riproposti dall'artista, e all'enorme scudo, infisso in diagonale e di taglio, al centro dell'Hortus, come se fosse caduto improvvisamente dal cielo come una meteora frantumando e avvallando la pavimentazione di pietre irregolari e mattoni. Uno scudo che é però contemporaneamente una fontana particolare dalla cui sommità gocciola l'acqua che si raccoglie in un catino.

E l'acqua sembra essere, insieme al mito e alla storia, l'altro elemento importante dello spazio-giardino di Paladino. Le fontane sono tante e sono parte integrante e fondamentale di ogni giardino monastico cui fa chiaramente riferimento l'opera. Il giardino monastico ricco di fontane sempre vive é luogo della conoscenza contemplativa; qui il monaco eremita, isolandosi dal mondo esterno, attua nel più completo silenzio, interrotto solo dal rumore dell'acqua, la sua ricerca di libertà interiore per affrontare il suo incontro con Dio.
E Paladino vuole che questo sia ancora luogo di conforto per la continua lotta che l'uomo vive nel mondo concreto come nella propria interiorità. Per tutti la visita all?Hortus dovrebbe essere un invito a intraprendere un "personale percorso della memoria", volto a riscoprire il proprio passato e quindi se stessi.